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Ptsd accenni bibliografici e di ricerca

A livello neurobiologico il disturbo post traumatico da stress ha origine nell’ incapacità della corteccia prefrontale destra di modulare le funzioni dell’ amigdala, organo delegato a riconoscere il pericolo. Durante un’esperienza traumatica, un eccesso di stimoli si riversa sul sistema limbico, che diventa sovraccarico e non riesce a elaborare i dati: l’attività dell’amigdala aumenta mentre la funzionalità dell’ ippocampo si altera. Le cellule dell’ ippocampo diminuiscono l’attività fino a diventare atrofizzate, generando disturbi all’attenzione e alla memoria. Se l’ippocampo è danneggiato, le paure infantili, immagazzinate nell’amigdala, possono riaffiorare. Quando una persona ricorda un evento traumatico la corteccia frontale sinistra e l’area di Broca, deputata al linguaggio, si chiudono, mentre l’emisfero destro, specialmente l’amigdala, si mobilita. Le due parti, sinistra e destra, non riescono a connettersi. Se il lobo frontale sinistro è impedito, le persone hanno difficoltà a parlare e a pensare. Le memorie traumatiche verrebbero perciò alla coscienza attraverso i sensi, odorato, gusto, tatto o vista, senza contesto o apparente significato, e probabilmente attraverso la stessa modalità in cui erano state incamerate. Il trauma crea di conseguenza una caduta della capacità di mentalizzare e un ritorno alla non mentalizzazione dell’esperienza, ovvero rende impossibile una rappresentazione della propria realtà interna, che diventa impensabile, inesprimibile e incomunicabile. Gli effetti del trauma sono dunque immagazzinati nella memoria corporea, a cui si può accedere solo attraverso l’espressione non verbale. Se un approccio alle vittime di trauma basato sull’aspetto verbale non aiuta a esprimere il vissuto emozionale, è necessario prevedere un tipo di intervento terapeutico, in cui l’ esperienza corporea trovi un mezzo non verbale per esprimersi e per giungere alla narrazione. A livello psicologico nell’ esperienza traumatica viene minacciato o distrutto un senso inconscio di credenze che sosteneva il senso di sicurezza. L’individuo traumatizzato ha compromesso sia la percezione di sé che quella della realtà che lo circonda: non ha più fiducia negli altri, non trova un luogo che lo appaghi, né un tempo che abbia caratteristiche dinamiche. Teme il futuro, non riesce a vivere nel presente e non ha percezione di ciò che costituisce il passato. Il tempo sembra rubato, non vissuto, mentre gli anni passano. Non ha un luogo dove depositare memorie buone, anche perché non riesce a differenziare ciò che gli fa bene da ciò che gli fa male. L’esperienza traumatica attacca la forza vitale, la spinta alla sopravvivenza, ovvero quelle forse che preservano l’unità di base psiche-soma quale caratteristica primaria del sé. Si sviluppa un senso di abbandono e di passività che porta alla distruzione di ogni legame affettivo da cui si genera un vuoto totale: un vuoto psichico che non crea legami. Per evitare l’integrazione delle memorie con le percezioni avvengono continue somatizzazioni, in cui il corpo contiene ed esprime un malessere che non ha altre vie tollerabili per uscire. Gli altri meccanismi difensivi, infatti tendono ad allontanare dalla coscienza ogni elemento insopportabile, utilizzando meccanismi quali la soppressione, la negazione o ancora l’ identificazione proiettiva. Il trauma ha un effetto perforante, non solo perché le percezioni sensoriali sono così violente che distruggono ogni scudo protettivo, ma anche perché il trauma stesso lascia un marchio visibile, iscritto nel corpo. Quando le percezioni sensoriali erompono nella mente, non possono essere rappresentate, sono tracce frammentate possono ritraumatizzare l’individuo. Quello che succede, specie nei traumi massicci, è difficile da comprendere perché intacca il mondo del significato e della narrazione, generando una disgregazione della simbolizzazione della vita: la distruttività blocca il processo costruttivo attraverso cui generiamo i significati delle cose, ed è così forte che non possiamo contenerla. A livello fenomenologico il trauma conduce a un disturbo dell’ affettività: l’esperienza soggettiva di impotenza totale che l’individuo esperisce di fronte a un evento traumatico genera una risposta iperattiva, seguita da un blocco emotivo e una resa totale che tendono all’ autodistruttività e minacciano la sopravvivenza, fino a giungere alla morte psicogena. All’ interno delle tre modalità attraverso cui il processo creativo si esperisce, quella a risoluzione formale viene utilizzata spesso perché rappresenta il tentativo di stabilire un ordine formale che dia sicurezza. Dapprima non è possibile né raccontare né avvicinarsi all’ esperienza corporea, ma attraverso l’ uso di materiali artistici si avvia la possibilità per l’ integrazione delle altre due modalità, che portano tracce dell’ esperienza traumatica. Il materiale artistico serve come voce narrante, anche e proprio in assenza di parole. I lavori artistici e la loro sequenza nel tempo servono inoltre a mettere insieme i diversi pezzi dell’ esperienza, a confrontarli, a connetterli a livello descrittivo e narrativo. Nel ridefinire e narrare l’ esperienza, i lavori artistici sono osservati e compresi attraverso la loro decostruzione simbolica, in cui emergono emozioni e affetti che il terapeuta può raccogliere per restituirli al paziente quali elementi di riflessione, al fine di aiutarlo a costruire un nesso, quello che l’evento traumatico ha rotto, tra il presente e il passato.

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